Alfredo Marasti – Il Dimenticatoio - Canto monumentale alle identità perdute (La Stanza Nascosta Records, 2025)
Ci sono dischi che si lasciano ascoltare, e altri che ti ascoltano loro. Il Dimenticatoio, sesto lavoro in studio di Alfredo Marasti, appartiene decisamente alla seconda categoria: è un disco che ti si siede accanto, ti scruta in silenzio e poi ti racconta la sua storia – che finisce, inevitabilmente, per somigliare alla tua.
Pubblicato il 4 aprile 2025 da La Stanza Nascosta Records, Il Dimenticatoio – Canto monumentale alle identità perdute arriva a tre anni di distanza da Ultimo D’Annunzio, l’“indie-kolossal” che aveva già mostrato la capacità di Marasti di far dialogare canzone d’autore, narrazione e pensiero critico. Ma qui il passo è ancora più personale, più diretto. Ed è forse proprio in questa fragilità dichiarata che il disco trova la sua forza.
Ad anticiparlo era stato Lutero 2.0, un folk-rock dalla forte cifra autoriale, accompagnato da un videoclip diretto dallo stesso Marasti: una dichiarazione d’intenti, tra ironia e disincanto, che già lasciava intravedere il cuore del progetto. L’identità – politica, nazionale, personale – come fluido instabile, potenzialmente in crisi, ma allo stesso tempo ossessione collettiva. “L’identità non è mai qualcosa di fermo”, racconta Alfredo Marasti, “e si rivela infine più illusoria e sfuggente che concreta”. Eppure, è su quella stessa illusione che si costruiscono narrazioni, si giustificano guerre, si modellano intere esistenze.
Il disco si presenta dunque come un concept “contro-identitario”, pur essendo – paradossalmente – l’opera più autobiografica mai scritta da Marasti. Dodici brani di solida impostazione cantautoriale, che viaggiano tra folk, country, rock e innesti di synth pop. Una narrazione lunga, incalzante, a tratti teatrale, che si muove in bilico tra epica e tragicommedia.
Si parte dai giorni del liceo, “avventurosi e mitici, ma anche dolorosissimi”: un tempo di ribellioni e fratture, di amici trovati e persi, di rottura con le certezze inculcate – quelle letterarie, religiose, politiche. Lì dove il pensiero critico comincia a farsi largo, tra errori e sbandamenti, si apre la prima faglia del conflitto identitario. Poi si salta al presente, quello dei trent’anni: più consapevolezza, forse, ma nessuna pacificazione. La crisi, ci dice Marasti, non è una malattia da curare, ma una condizione permanente dell’essere.
E così Il Dimenticatoio diventa un album da esplorare con calma, come un cassetto dei ricordi che non vogliono stare chiusi. Un lavoro da ascoltare più volte, lasciando che i brani si sedimentino, che le parole di Alfredo trovino posto dentro la nostra personale collezione di ferite, dubbi e nostalgie.
Si comincia con Mirelle, che più che una canzone sembra un ingresso discreto in uno spazio mentale: una figura evanescente che ritorna, forse un'assenza, forse un ideale. La voce è quasi sussurrata, e la musica si muove in punta di piedi. È l’inizio giusto: non un prologo, ma una soglia.
Poi c’è Oh no! Oh no!, che pare il grido ironico e disilluso di una generazione che ha imparato a ridere mentre cade. Un ritmo sostenuto, un’ironia mai compiaciuta. La ripetizione del titolo suona come un’eco interiore che conosciamo tutti: quel momento in cui ci si rende conto che si sta sbagliando ancora una volta, ma non si riesce a fermarsi.
Noccioline è uno dei miei momenti preferiti: allegra in superficie, amara sotto. Una riflessione tenera e cinica sulle piccolezze con cui ci riempiamo le giornate. È una canzone che, come certe persone, ti fa ridere mentre ti accorgi che ti sta dicendo qualcosa di terribilmente serio.
In Il rappresentante d’istituto, Marasti torna agli anni della scuola, e lo fa senza retorica. C’è tutto: il potere provvisorio, le illusioni da aula magna, le prime rivoluzioni domestiche. E dietro la cronaca scolastica, l’allegoria di un’identità che comincia a sgretolarsi appena si tenta di definirla.
Floreale, che riecheggia Montale nel suo “non chiederci la definizione…”, è l’astrazione poetica del disco intero. Un brano che racconta l’informe e lo rende dignitoso. Che nomina l’indefinibile senza volerlo spiegare. Ed è proprio lì che, forse, si rivela la maturità del disco: non nel dare risposte, ma nel porre domande giuste.
Giulietta arriva come una carezza un po’ sghemba. Una ballata intima, costruita con pochi elementi ma profondi. Non è la Giulietta di Shakespeare, o forse sì: è quella che abbiamo amato senza capirla, o capito troppo tardi. Una canzone che ti prende in contropiede, e lascia il segno.
La ciocca della pisana è una delle gemme più discrete del disco. Un brano che non grida, ma resta, come certi ricordi che non abbiamo mai davvero lasciato andare. C’è ironia, affetto, una nostalgia sottile che non diventa mai lamento. E quella “ciocca” – forse d’amore, forse d’infanzia – diventa il simbolo di un legame che sopravvive al tempo, alle partenze, ai non detti.
La salita chiude il disco con una forza quieta, ma luminosa. Non è una canzone che risolve, ma una che arriva dopo aver attraversato tutto: le domande, le crepe, le fughe. Cala Goloritzè, che viene citata nel testo, non è solo una spiaggia da cartolina – è un’immagine di bellezza conquistata, dopo la fatica del cammino. E allora, anche se la voce lascia intravedere qualche incrinatura, quello che resta è un senso di scelta consapevole: decidere di restare, non per dovere o abitudine, ma perché ci si è guardati davvero.
C’è un filo continuo che lega tutto questo splendido album, ed è un impasto di malinconia e disincanto, ma anche di tenerezza e ostinazione. Marasti intreccia goffaggine ed eroismo, rivolta privata e storia nazionale, la Libertà che guida il popolo di Delacroix e la coperta di Linus. Il risultato è un affresco diseguale e umano, un grande racconto collettivo che parte da sé per arrivare a tutti.
Oltre alla scrittura – che resta il cuore pulsante del lavoro – colpisce il suono: pulito, curato, ma mai levigato. Gli arrangiamenti sono essenziali, diretti, capaci di valorizzare ogni parola senza sovrastarla. Hanno il profumo buono degli anni '70, quello di certa canzone d’autore che non aveva paura della semplicità, ma sanno anche restituire una freschezza attuale, urgente. Non c’è niente di nostalgico, né di vintage per il gusto di esserlo: è piuttosto un equilibrio difficile tra radici e presente, raggiunto con naturalezza.
In ogni brano la chitarra acustica è suonata da Alfredo Marasti, con quella delicatezza che non ha bisogno di virtuosismi per dire tutto. Gli arrangiamenti sono frutto di un lavoro collettivo, curato con sensibilità insieme a Carlo Longo (che firma anche il mix al NuevArte Studio di Catania), Dario Baldini, Andrea Marasti, Liam Thomas Panerai, Daniele Belli, Teresa Dereviziis, Sara Bertolucci e Danilo Sesti. L’artwork – opera dello stesso Alfredo Marasti insieme ad Arianna Ricciardi e Giulia Berrettini – completa un’opera che è anche visiva, narrativa, quasi performativa.
Il Dimenticatoio è un disco stratificato, pensato, necessario. Non cerca scorciatoie e non semplifica: scava, piuttosto, nel fondo delle domande che ci accompagnano da sempre, anche quando fingiamo di non sentirle. E mentre lo ascoltavo, mi è parso che non parlasse tanto di risposte, ma del coraggio di abitare le fratture. Forse non ci salverà da nulla, questo disco. Ma ci ricorda che il vero atto di resistenza, oggi, è non smettere di cercarsi. Anche – e soprattutto – quando non ci si trova.
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Alfredo Marasti |
Track list:
Mirelle
Oh no! Oh no!
Noccioline
Il rappresentante d'istituto
Floreale
Lutero 2.0
Giulietta
Morte di un principe
Aritmetica
La ciocca della Pisana
La discesa
La salita
English version
Alfredo Marasti – Il Dimenticatoio - Canto monumentale alle identità perdute (La Stanza Nascosta Records, 2025)
Some albums are meant to be listened to. Others, they listen to you. Il Dimenticatoio, Alfredo Marasti’s sixth studio album, clearly belongs to the second kind: it sits beside you, silently watches you, and then tells you its story—which inevitably starts to resemble your own.
Released on April 4, 2025, by La Stanza Nascosta Records, Il Dimenticatoio – Monumental Song for Lost Identities comes three years after Ultimo D’Annunzio, the "indie-kolossal" that had already demonstrated Marasti’s ability to intertwine songwriting, storytelling, and critical thought. But here, the tone is even more personal, more direct. And perhaps it's precisely in this declared vulnerability that the album finds its strength.
The album was previewed by Lutero 2.0, a folk-rock track with a strong authorial voice, accompanied by a music video directed by Marasti himself: a statement of intent, steeped in irony and disenchantment, which already hinted at the core of the project. Identity—political, national, personal—as a fluid and unstable concept, always on the verge of crisis, yet at the same time a collective obsession. “Identity is never a fixed thing,” Marasti explains, “and ultimately turns out to be more illusory and elusive than real.” And yet, it is precisely on that illusion that stories are built, wars are justified, and lives are shaped.
The album takes the shape of an anti-identity concept work, while paradoxically being Marasti’s most autobiographical to date. Twelve tracks rooted in classic singer-songwriter craft, weaving through folk, country, rock, and touches of synth-pop. A long, compelling narrative—sometimes theatrical—that moves between epic and tragicomedy.
It all begins in high school days, “adventurous and mythic, but also painfully raw”: a time of rebellion and rupture, of finding and losing friends, of breaking away from ingrained certainties—literary, religious, political. It’s where critical thinking first tries to emerge, through missteps and detours, opening up the initial crack in one’s sense of identity. Then comes the present: thirty-something years old, a little more self-aware perhaps, but far from at peace. Crisis, Marasti tells us, is not an illness to be cured, but a permanent condition of being.
Il Dimenticatoio is an album to be explored slowly, like a drawer of memories that refuse to stay shut. It’s a record to return to, letting the songs settle and Marasti’s words find a place within our personal collection of wounds, doubts, and longings.
It opens with Mirelle, which feels less like a song and more like a gentle entrance into a mental space: a fleeting figure returning—perhaps an absence, perhaps an ideal. The voice is almost whispered, and the music tiptoes along. It’s the perfect beginning—not a preface, but a threshold.
Then comes Oh no! Oh no!, the ironic, disillusioned cry of a generation that’s learned to laugh while falling. A driving rhythm, irony without smugness. The repeated title sounds like an inner echo we all know: the moment you realize you’re messing up again, but can’t stop yourself.
Noccioline is one of my favorite moments: cheerful on the surface, bitter underneath. A tender and cynical reflection on the small things we fill our days with. It’s a song that, like certain people, makes you laugh while quietly telling you something terribly serious.
In Il rappresentante d’istituto, Marasti revisits school years, and does so without nostalgia or rhetoric. It’s all there: the fleeting power, the assembly hall dreams, the first domestic revolutions. Beneath the school tale lies the allegory of an identity that starts to crumble the moment you try to define it.
Floreale, echoing Montale’s "don’t ask us for the formula…", is the album’s poetic abstraction. A song that gives form to formlessness, names the indefinable without trying to explain it. And perhaps that’s where the album’s maturity shows: not in giving answers, but in asking the right questions.
Giulietta arrives like an offbeat caress. An intimate ballad, built with few but deep elements. Not Shakespeare’s Juliet—or maybe she is: the one we loved without understanding, or understood too late. A song that catches you off guard and leaves its mark.
La ciocca della pisana is one of the album’s quiet gems. A track that doesn’t shout but lingers, like memories we’ve never truly let go. There’s irony, warmth, and a subtle nostalgia that never slips into complaint. That “lock of hair”—perhaps of love, perhaps of childhood—becomes the symbol of a bond that survives time, departures, and unspoken words.
La salita closes the album with quiet but radiant strength. It’s not a song that resolves, but one that comes after all has been faced: questions, cracks, escapes. Cala Goloritzè, mentioned in the lyrics, is not just a picture-perfect beach—it’s an image of beauty earned, after the struggle of the climb. And so, even if the voice carries traces of weariness, what remains is a sense of conscious choice: to stay, not out of habit or duty, but because we’ve truly seen each other.
A thread runs through this beautiful album—one of melancholy and disillusionment, but also tenderness and resolve. Marasti blends awkwardness and heroism, private revolt and national history, Delacroix’s Liberty Leading the People and Linus’s security blanket. The result is a flawed and human fresco, a great collective story that starts from the self to reach everyone.
Beyond the writing—which remains the beating heart of the work—the sound is striking: clean, well-crafted, but never over-polished. The arrangements are essential, direct, capable of enhancing every word without overshadowing it. They carry the honest scent of the ’70s, of that kind of songwriting unafraid of simplicity, yet they also convey a present-day urgency and freshness. Nothing here is nostalgic or vintage for the sake of it—it’s a rare balance between roots and the present, achieved with ease.
Each track features Marasti himself on acoustic guitar, playing with a gentle touch that needs no virtuosity to say everything. The arrangements are the result of a sensitive collaborative effort with Carlo Longo (who also mixed the album at NuevArte Studio in Catania), Dario Baldini, Andrea Marasti, Liam Thomas Panerai, Daniele Belli, Teresa Dereviziis, Sara Bertolucci, and Danilo Sesti. The artwork—created by Alfredo Marasti together with Arianna Ricciardi and Giulia Berrettini—rounds out an album that is also visual, narrative, almost performative.
Il Dimenticatoio is a layered, thoughtful, and necessary record. It doesn’t look for shortcuts or easy answers: instead, it digs deep into the timeless questions we carry with us, even when we pretend not to hear them. As I listened, it didn’t seem to speak of answers so much as of the courage to dwell in the fractures. Maybe this record won’t save us. But it reminds us that the true act of resistance, today, is to keep searching for ourselves. Especially—perhaps only—when we feel lost.
Track list:
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Mirelle
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Oh no! Oh no!
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Noccioline
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Il rappresentante d’istituto
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Floreale
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Lutero 2.0
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Giulietta
-
Morte di un principe
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Aritmetica
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La ciocca della Pisana
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La discesa
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La salita