Redapolis Music Blog | Il blog di Luca Redapolis esplora la musica di ieri e di oggi con un focus su dischi recenti, usciti per etichette indipendenti o autoprodotti.
Un disco live non è solo una fotografia di ciò che accade sul palco. È un rito, una trasmutazione. E Sublimazione, il nuovo album de Il Segno del Comando, storica formazione dark prog metal, sembra nascere proprio da questa consapevolezza.
Nel delta delle note, un viaggio fluido tra differenze che diventano ricchezza
C’è qualcosa di profondamente magnetico nel nuovo lavoro
degli Ujig, Delta, un album che scorre come un fiume, capace di
portarti in luoghi inattesi. Il quartetto milanese – Konstantin Kräutler
(batteria), Edoardo Maggioni (tastiere), Marco Leo (chitarre) e Cesare
Pizzetti (basso) – torna con un disco che è insieme evoluzione e manifesto:
un antidoto all’omologazione, come loro stessi lo definiscono, ma anche un
viaggio spirituale tra progressive, jazz e fusion.
Un uovo che rotola e si rompe, un
disco che ti costringe a guardarti dentro
Dopo il debutto Girotondo (giro) fuori scena nel 2000
e la rinascita con Obliquizioni… prima che l’aquilone se ne voli via nel
2023, i Cormorano di Raffaello Regoli tornano con un lavoro che
sa di filosofia e coraggio. Un’opera che non teme il rischio, che si espone con
sincerità. Otto brani in cui la voce di Regoli — da anni ideatore della
rassegna Omaggio a Demetrio Stratos — è guida e strumento, materia sonora e
pensiero incarnato. Una voce che sa piegarsi alla melodia, scartare nella
sperimentazione, librarsi come un canto rituale o farsi sussurro interiore.
Chiara Orlando – Who Are You?
(Filibusta Records, 2025)
Chiara Orlando trasforma le parole di
Emily Dickinson in musica che interroga e accoglie
C’è una
domanda che arriva dritta al cuore, e Chiara Orlando la trasforma in musica: Who
Are You?. Non è un interrogativo qualsiasi, ma un invito a scavare dietro
le maschere, quando il “teatro della vita” diventa stanco di recitare copioni
privi di sincerità. L’artista siciliana, voce e tromba, si mette a nudo in un
album pubblicato da Filibusta Records, che prende forma intorno alle
parole di Emily Dickinson – quella poetessa capace di rivelare l’essenza
dell’esistenza in pochi versi – e ne fa materia sonora, tra delicatezze, ombre
e improvvise accensioni.
Antonio Clemente – Casavacanze
(Autoprodotto, 2024)
Un viaggio tra memoria, radici e
nuovi orizzonti sonori
Solo ora vengo a conoscenza, grazie allo stesso Antonio
Clemente, di questo gran bel disco: Casavacanze, il quinto album del
cantautore siciliano di adozione genovese. Un disco che, come spesso accade con
certe scoperte preziose, arriva con la naturalezza delle cose che sembrano
aspettarti da tempo. E subito mi colpisce il titolo, che unisce due parole apparentemente
opposte: casa, nido intimo e rassicurante, e vacanza, sinonimo di
svago, viaggio, avventura. Due mondi che si incontrano e dialogano anche in
copertina, dove spicca un dipinto a olio realizzato da Clemente stesso: un
gelso enorme che ombreggia il cortile della casa-vacanze, simbolo di memoria e
radici.
Andrea Zacchia – Anemoia (Filibusta
Records, 2025)
Tra vento e memoria, un trio che
scolpisce il tempo con suoni sospesi e silenzi densi di senso
Ci sono dischi che non ti chiedono di ascoltarli: ti invitano
a entrare in una stanza silenziosa, dove ogni nota è un frammento di memoria
che forse non ti appartiene, eppure senti di riconoscere. Anemoia, il
nuovo lavoro del chitarrista Andrea Zacchia, è esattamente questo: un
diario in codice, fatto di risonanze interiori più che di fatti concreti,
sospeso tra il ricordo e l’immaginazione.
Bonny
Jack - Somewhere, Nowhere (Autoprodotto, 2025)
Un
viaggio acustico nei deserti dell’anima
Ci sono dischi che non cercano di
impressionarti: ti parlano a bassa voce, ti avvolgono e poi, senza
accorgertene, ti portano altrove. Somewhere, Nowhere, il nuovo lavoro di
Bonny Jack, ha la forza silenziosa di un tramonto nel deserto. L’ho
ascoltato in una mattina d’estate, con il sole già alto e l’aria ferma, e mi
sono ritrovato in un altro tempo, in un altro spazio: quello delle strade
polverose, delle frontiere invisibili e delle anime erranti.
Bonny Jack, al secolo Matteo
Senese, è un poliedrico one man band capace di muoversi con
disinvoltura tra blues, folk e country, mescolandoli in un linguaggio tutto suo
che guarda alla tradizione americana senza risultare mai derivativo. Dopo Bone
River Blues (2020) e Night Lore Blues (2021), arriva al terzo album
con Somewhere, Nowhere, pubblicato il 27 giugno: undici tracce originali
che confermano la maturità artistica e la capacità di evocare paesaggi sonori
pieni di ombre e luce.
Bonny Jack è avvezzo a
calcare i palchi – non solo in Italia, ma anche in molte nazioni europee e in
Sud America – esibendosi spesso da solo, ma per questo nuovo lavoro ha
arricchito la sua scrittura con interventi preziosi di altri musicisti: Guido
Jandelli (armonica, chitarra elettrica, slide), Andrea Vettor
(percussioni), Angelica Foshi (fisarmonica), Ren Vas Terul
(armonica), Tyler R. (tromba), Alia (voce) e Brian D.
(violino). Ne risulta un sound più stratificato, che resta però fedele
all’essenzialità e all’intensità della sua cifra stilistica.
Fin dal primo ascolto, con Uncle
Jack, chiudendo gli occhi, ci si ritrova immersi nelle atmosfere
polverose di un western: il banjo scandisce il ritmo, la voce graffia come
polvere secca e ti trascina in una storia di radici e memoria. La stessa
sensazione ritorna nei brani successivi, dove la scrittura si fa evocativa e
ipnotica, come se ogni canzone fosse la scena di un film immaginario.
Le undici tracce scorrono come
capitoli di un diario on the road. Carnival Valley ammalia con la
sua energia scura e ipnotica; DamaJuana introduce sapori
sudamericani, mentre Tell Me si mostra come una ballata intima,
con la voce di Bonny Jack che si fa confessione. Me & My
Allies ha l’andatura lenta e polverosa di una marcia sotto il sole
cocente, mentre Mexican Standoff alza la tensione come un duello
sonoro da western crepuscolare.
C’è spazio per l’incanto in Mother
Moon, dove la fisarmonica di Angelica Foshi accarezza la notte,
e per atmosfere sospese in The Glacier, un brano dal respiro
gelido e contemplativo. Wake Up porta un’energia più diretta e
istintiva, e Devil’s Saddle rallenta in un passo svogliato e
malinconico, con il banjo e il violino di Brian D. che disegnano un
paesaggio sonoro dolente e fragile. Chiude Post Apocalypse Song,
che ha il sapore di una resa dei conti: la voce si dissolve come vento tra le
rocce, lasciando un’eco di solitudine.
E poi c’è il packaging: una
piccola scatola di cartone chiusa da uno spago, che contiene – oltre al CD –
gadget e un foglio pieghevole con l’immagine originale della copertina. Un
dettaglio che racconta la cura artigianale e la poetica analogica di Bonny
Jack.
Somewhere, Nowhere non ha
bisogno di etichette. È un disco che ti prende per mano e ti porta lontano, tra
cieli infiniti e strade battute dal vento. Non importa se lo chiamerete blues,
folk o country: queste canzoni sono storie sussurrate all’orecchio, cariche di
polvere e di verità.
C’è una bellezza ruvida in questo
lavoro, una forza silenziosa che ti resta dentro anche quando la musica si
spegne. Non è solo un album da ascoltare: è un luogo in cui tornare ogni volta
che avete bisogno di perdervi per ritrovarvi.
Bonny
Jack (Matteo Senese)
Track list:
Uncle Jack
Carnival Valley
DamaJuana
Tell Me
Me & My Allies
Mexican Standoff
Mother Moon
The Glacier
Wake Up
Devil’s Saddle
Post Apocalypse Song
Bonny Jack – voce, chitarra acustica, banjo, armonica
Guido Jandelli – armonica, chitarre elettriche e slide
Andrea Vettor – percussioni
Ren Vas Terul – armonica
Angelica Foshi – fisarmonica
Tyler R. – tromba
Alia – voce
Brian D. – violino
Registrato e autoprodotto da Bonny Jack
English version
Bonny
Jack - Somewhere, Nowhere (Autoprodotto, 2025)
An acoustic journey through the deserts of the soul
There are albums that don’t try to impress you: they speak in a low voice, they wrap around you and, before you know it, take you elsewhere. Somewhere, Nowhere, the new work by Bonny Jack, has the silent strength of a desert sunset. I listened to it on a summer morning, with the sun already high and the air perfectly still, and suddenly I found myself in another time, another place: dusty roads, invisible borders, and wandering souls.
Bonny Jack, aka Matteo Senese, is a versatile one-man band who moves effortlessly between blues, folk and country, blending them into his own language that looks to American tradition without ever sounding derivative. After Bone River Blues (2020) and Night Lore Blues (2021), he arrives at his third album with Somewhere, Nowhere, released on June 27: eleven original tracks that confirm his artistic maturity and his ability to evoke soundscapes filled with shadows and light.
Bonny Jack is no stranger to the stage – not only in Italy, but across many European countries and in South America – often performing solo. But for this new work, he has enriched his writing with the valuable contributions of other musicians: Guido Jandelli (harmonica, electric guitar, slide guitar), Andrea Vettor (percussion), Angelica Foshi (accordion), Ren Vas Terul (harmonica), Tyler R. (trumpet), Alia (vocals), and Brian D. (violin). The result is a more layered sound that remains faithful to the essential, intense character of his style.
From the very first listen, Uncle Jack pulls you into dusty western-like atmospheres: the banjo keeps the pace, the voice scratches like dry dust and drags you into a story of roots and memory. That same feeling lingers in the following tracks, where the writing becomes evocative and hypnotic, as if each song were a scene from an imaginary film.
The eleven tracks unfold like chapters in a road diary. Carnival Valley entrances with its dark, hypnotic energy; DamaJuana brings subtle South American flavors, while Tell Me emerges as an intimate ballad, with Bonny Jack’s voice turning into a whispered confession. Me & My Allies has the slow, dusty gait of a march under a scorching sun, while Mexican Standoff raises the tension like a sonic duel in a twilight western.
There’s room for enchantment in Mother Moon, where Angelica Foshi’s accordion caresses the night, and for suspended atmospheres in The Glacier, a track with a frozen, contemplative breath. Wake Up delivers more direct, instinctive energy, and Devil’s Saddle slows down into a languid, melancholic pace, with banjo and Brian D.’s violin painting a sorrowful, fragile soundscape. The album closes with Post Apocalypse Song, which carries the flavor of a final reckoning: the voice dissolves like wind on the rocks, leaving behind an echo of solitude.
And then there’s the packaging: a small cardboard box tied with string, containing – besides the CD – some gadgets and a folded sheet with the original cover artwork. A detail that speaks to Bonny Jack’s artisanal care and analog poetry.
Somewhere, Nowhere doesn’t need labels. It’s an album that takes you by the hand and carries you far away, across endless skies and wind-beaten roads. Whether you call it blues, folk or country doesn’t really matter: these songs are whispered stories, full of dust and truth.
There’s a raw beauty in this work, a silent strength that stays with you even when the music fades. It’s not just an album to listen to: it’s a place to return to whenever you need to lose yourself in order to be found.
Track list:
Uncle Jack
Carnival Valley
DamaJuana
Tell Me
Me & My Allies
Mexican Standoff
Mother Moon
The Glacier
Wake Up
Devil’s Saddle
Post Apocalypse Song
Credits
Bonny Jack – vocals, acoustic guitar, banjo, harmonica
Guido Jandelli – harmonica, electric guitars, slide guitar
Andrea Vettor – percussion
Ren Vas Terul – harmonica
Angelica Foshi – accordion
Tyler R. – trumpet
Alia – vocals
Brian D. – violin